Il tema di Brera Design District 2017 “Progettare è un gioco, giocare un progetto” si pone l’obiettivo di esplorare le sovrapposizioni tra gioco e design. Per questo motivo il premio Lezioni di Design 2017 viene attribuito a Fabio Viola, uno dei top 10 gamification designer al mondo. Fabio coordina il corso di alta formazione in "Gamification ed Engagement Design" per IED Milano ed è autore del libro “Gamification. I Videogiochi nella Vita Quotidiana" e di “Coinvolgimi", in uscita per Hoepli. Ha lavorato per grandi multinazionali dei videogiochi e negli ultimi anni esplora le influenze tra gioco e vita quotidiana supportando enti pubblici, istituzioni culturali e grandi aziende nei processi di “engagement”.
Abbiamo chiesto a Fabio di raccontarci il suo lavoro e la sua visione del design contemporaneo.
Il gaming è la tua passione, ancora prima che un lavoro. Quando hai capito che sarebbe diventata la tua professione?
Da quando ho memoria, ricordo due grandi passioni: la storia ed i videogiochi. Questi ultimi ancora sul finire degli anni ’90 non prevedevano un percorso accademico e quindi optai per studiare archeologia all'università. Dopo 5 anni di gavetta nei primi siti internet che parlavano di videogiochi, con l'imprudenza tipica dei 22 anni, fondai la mia prima "start up". Nonostante la sua chiusura nel giro di pochi mesi, fu proprio quell’insuccesso a convincermi che sarebbe stata quella la mia strana negli anni a venire. Abbastanza rapidamente, mentre i miei amici erano all'università, mi ritrovai immerso in un sogno finendo per lavorare con molte di quelle aziende che avevano assorbito tempo, e soldi, nella mia adolescenza. Sono stato country manager per Vivendi Games Mobile, gestito la comunicazione per Electronic Arts Mobile, prodotto e sviluppato numerosi giochi “indie” e disegnato alcuni dei social games Lottomatica. La mia vita è sempre stata composta da cicli, l'ultimo è coinciso con la pubblicazione nel 2011 del libro "Gamification - I Videogiochi nella Vita Quotidiana". Da allora il mio interesse, personale e lavorativo, si è fortemente indirizzato sulla progettazione di esperienze gaming e di gamification all'interno di contesti di vita quotidiana.
Quale relazione c’è secondo te, tra giocare e progettare?
Per molto tempo abbiamo continuato a progettare esperienze fortemente standardizzate in continuità con le idee e pratiche delle prime due rivoluzioni industriali. Il risultato è un mondo troppo rigido, ingessato, piramidale che sta provocando un corto circuito la tra le aspettative ed esigenze delle nuove generazioni e il mondo nel quale si ritrovano a vivere.
Giocare significa ridare centralità all'individuo e alle sue emozioni, spostare l'asse dalla dimensione verticale ad una orizzontale in cui il motore primario di ogni progetto diventa il coinvolgimento. Credo che i tempi siano maturi per superare frasi stereotipate come “smettila di giocare” o “non è un gioco” quasi a voler relegare a momenti specifici una modalità di apprendimento e scoperta che è, invece, fondamentale nei primi anni della nostra vita per imparare il 90% dei concetti che ci accompagneranno nel proseguo di vita.
L’industria dei videogiochi è attualmente una delle più floride e il giro d’affari esponenzialmente cresce di anno in anno. Qual è il motivo e quale insegnamento ci arriva da questo modello?
È una industria che ha saputo intercettare - e molto spesso anticipare - i cambiamenti sociali, economici e tecnologici in atto negli ultimi 30 anni. Pensiamo al funzionamento stesso dei videogiochi, che richiedono obbligatoriamente una partecipazione ed interazione da parte dei giocatori. Offrono libertà di azione e ancora di più potere decisionale. Sono strutturati spesso per obiettivi a difficoltà crescente, stimolano la competizione ma ancora più spesso la cooperazione tra i giocatori, consentono l'auto-espressione attraverso la personalizzazione di case, vetture ed avatar. Questi tratti, superficialmente sintetizzati, ben corrispondono con le differenze portate in dote dalle nuove generazioni Y e Z rispetto ai loro padri e nonni. A livello economico i videogiochi ci hanno mostrato come sia possibile generale decine di miliardi di dollari nel mondo attraverso la distribuzione gratuita del prodotto, il cosiddetto modello “free to play”. Ed, infine, a livello tecnologico hanno spesso precorso i tempi introducendo il 3D, realtà aumentata, virtuale, periferiche dotate di sensori. Personalmente sono convinto che sia una straordinaria lente attraverso la quale guardare il mondo con un anticipo di alcuni anni!
Il MoMA ha inserito nella propria collezione permanente ben 14 videogiochi, definendoli “forma d’arte”. Tu come definiresti un videogioco?
I videogiochi, a soli quarant’anni dalla loro nascita, sono diventati non solo la principale industria creativa mondiale per fatturato e tempo speso, ma anche una delle più complesse – e meno comprese istituzionalmente – espressioni culturali del nostro tempo. Su una nuova tipologia di tela, completamente digitale, i creatori esprimono idee, sviluppano modelli creativi e linguistici, raccontano storie e restituiscono visioni del mondo. E lo fanno dando al fruitore la possibilità di agire e reagire, rendendo la produzione autoriale in qualche misura liquida, e in questo profondamente diversa da tutte le altre espressioni artistiche in cui la meta-riflessione resta a un livello interiore e mai estetico.
Molte aziende si stanno lentamente avvicinando al concetto di gamification. Sapresti spiegarlo in poche parole a chi non conosce questa parola?
Gamification è una metodologia pratica per disegnare prodotti, relazioni e processi. L'idea è creare una super user experience mutuando molti dei principi alla base dei videogiochi ed intersecandoli con elementi di psicologia e scienze comportamentali. Per dare una idea del fenomeno, il mercato della gamification nasce nel 2010 e lo scorso anno è valso circa 2 miliardi di dollari con una proiezione a 11 nel 2020. A fronte di questa crescita tumultuosa restano ancora molti nodi da sciogliere, in primis la formazione di gamification designer preparati.
In che modo le aziende potranno trarre vantaggi nell’adottare dinamiche e concetti della gamification?
Ho avuto la fortuna di poter lavorare a decine di implementazioni della gamification negli ambiti più svariati: programmi di fedeltà, campagne marketing, motivazione forza vendita, spazi fisici in ambito retail, e-learning, enti pubblici ed istituzioni culturali. Il primo grande vantaggio è un cambiamento sistemico nell'approccio al problema, il design segue un processo di analisi dei pubblici e delle loro necessità e motivazioni per individuare le migliori soluzioni. In un ambiente in cui il protagonista è coinvolto o altamente coinvolto diventa più semplice ottenere a cascata metriche positive: retention, il tempo medio speso in un luogo fisico o virtuale, il coefficiente di viralità, lo scontrino medio in crescita e così via. Per citare un caso concreto, nell'edizione 2015 dell'iniziativa #IoLeggoPerché promossa dall'Associazione Italiana Editori si è deciso per la prima volta, di introdurre la gamification come chiave per stimolare una serie di comportamenti virtuosi in fatto di lettura. In meno di 3 mesi, sono stati caricati oltre 50.000 contenuti dagli utenti, superate 100.000 missioni e certificati 25.000 messaggeri ovvero persone che han dovuto sbloccare numerose missioni ed ottenere punti per ambire a quel titolo. In questo modo la gamification diventa uno strumento di “engagement by design” abbattendo i costi di marketing e comunicazione a favore di ambassador organici e del passaparola legato alle dinamiche di gioco interne.
A questo punto potresti raccontarci qualcosa del tuo prossimo ciclo di vita?
Vorrei provare a ricongiungere le mie due grandi passioni. Ho fondato l'associazione TuoMuseo, vincitrice nel 2016 del bando Innovazione Culturale di Fondazione Cariplo, per sperimentare nuove modalità di fruizione del patrimonio culturale. Tra i primi progetti in lavorazione, sono particolarmente orgoglioso di Father and Son un vero e proprio videogioco che ha come publisher -caso unico al mondo - un museo. Il gioco, promosso dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, vuole raggiungere nuovi pubblici mondiali e sensibilizzarli sulla importanza del nostro passato coniugando nuovi linguaggi, innovazione tecnologica e cultura.
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