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Cosa significa il Fuorisalone per te?
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Mi piace ricordare quando ho iniziato frequentare Milano da studente, negli anni tra il 1995 e il 1996. Allora il fuorisalone era fatto di pochi eventi: lo Spazio Krizia con Ron Arad e Ingo Maurer, Driade e Sawaya & Moroni in via Manzoni. L’evento più cool era sempre quello di Catellani & Smith. C’erano quattro o cinque eventi ai quali si andava perché attiravano e ispiravano più della fiera. Negli anni successivi c’è stata una vera e propria esplosione, che è coincisa con lo spostamento del Salone del Mobile alla nuova fiera di Rho-Pero, che costringeva a doversi spostare dall’altra parte della città. Ci siamo trovati a dover vivere Milano in maniera diversa e il fuorisalone ha contribuito in maniera determinante. Fuorisalone ha significato ed è tuttora quello che rende Milano speciale rispetto alle altre Design Week del mondo. Se parli dalla Design Week con tassisti, baristi e persone comuni, tutti a Milano sanno cos’è, perché tutta la città partecipa. Questo non accade a Parigi o a Londra: se vai in centro nessuno sa quello che sta accadendo in fiera.
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Dentro o Fuori Salone?
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Cosa è diventata una fiera? La fiera tradizionale non funziona più per vendere, è soprattutto un’operazione di networking, e il networking funziona anche fuori. Tuttavia, per farlo funzionare bene devi lavorare molto nei mesi precedenti, vista la quantità di eventi che offre il Fuorisalone. Fuorisalone ti permette di fare qualcosa di molto più interessante perché puoi osare di più. Ma se vuoi che ti porti dei risultati, se non vuoi limitarti ad una performance o a un’operazione di branding, è necessario fare un lavoro pesante di PR, per portare da te le persone giuste, che devono sentirsi quasi costrette a visitarti. Non sono un grande fan delle fiere, anche considerando le evoluzioni recenti del mondo del design. Pochi giorni fa ho saputo che IKEA sta programmando di aprire entro il 2020 dei negozi tematici nel centro delle città, piccoli spazi dedicati a tessili, ceramica e così via. Una fiera gigantesca e generalista va contro la voglia di esclusività che oggi pervade anche il mondo del design.
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La cosa più strana che ti è successa durante una settimana del design milanese
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Durante la Design Week io e Joe Velluto dormivamo sempre a casa di Giulio Iacchetti, che in quei giorni diventava un specie di ostello per designer squattrinati. Nel 2008 Fabio Novembre era stato incaricato da Meritalia di creare una nuova collezione dedicata all’italianità. Fabio ha fatto la festa migliore dell’anno, arricchita da un open bar super kitsch, con tanto di ballerine brasiliane. Come risultato alle 4 del mattino eravamo tutti sbronzi. Ho un vuoto di memoria di quella serata, so ricordo solo che mi sono svegliato il mattino dopo a casa di Giulio.
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L’oggetto feticcio che hai trovato (o rubato) durante la Design Week
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Mi aveva colpito uno sgabello di legno pressato fatto da un gruppo di designer di Taiwan che esponevano all’ex Ansaldo. Mi piaceva l’uso che avevano fatto del materiale e lo volevo come campione. Volevo usarlo per fare una lampada per Foscarini: sapevo che era possibile, ma non avevo fornitori e non era facile da trovare. Quello sgabello era perfetto e così l’ho preso. Ora si trova a casa di mia madre.
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Vorrei che il Fuorisalone…
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…durasse tre mesi. Mi piacerebbe che il valore di quella settimana fosse spalmato su un periodo più lungo, come accade con la Biennale di Venezia. Ci sarebbe la possibilità di vederlo tutto, cosa che in una settimana è impossibile, e in più si darebbe a Milano l’opportunità di rimanere viva interessante non solo per quei giorni. Se penso alla mole di lavoro intellettuale ed economico concentrato in una settimana, credo che 95% non venga realmente sfruttato per quello che merita. E poi, sul piano della sostenibilità ambientale e mentale, sarebbe decisamente meno inquinante.
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La cosa fondamentale che hai scoperto o imparato al Salone
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Mai presentare un progetto in quei giorni, perché nessuno è lì per cercare progetti nuovi. All’inizio ti sembra un’opportunità, ma in quei giorni le aziende sono troppo occupate a promuovere quello che hanno già fatto. L’ho imparato sulla mia pelle.
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