L'intervista
La versione di Stefano Maffei sul Fuorisalone
Perché un festival sul design dei servizi?
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Il discorso su cosa è il design (e a cosa serve) si è arricchito, attraverso anni di dibattiti ed esperienze reali, di nuovi significati e ambiti: tra questi uno dei più significativi è quello dei servizi che racchiude certamente in sé forti connessioni con le consolidate aree disciplinari del prodotto e della comunicazione. La prospettiva dei servizi però espande la dimensione tradizionale dell’esperienza e dell’interazione dell’utente, ampliando gli aspetti tangibili/intangibili di relazione e producendo performance nuove come il controllo, l’informazione, la comunicazione, l’azione a distanza. Questa sofisticata regia che comprende artefatti tangibili, organizzazione, comunicazione, tecnologia, processi, persone, origina quelle potenzialità e offerte che sono alla base di quasi tutti gli aspetti della vita vissuta contemporanea.
Portare questa riflessione all’interno della più importante Design Week mondiale significa da una parte un allargamento dovuto degli ambiti che il design sovrintende in quanto trasformazione del nostro ambiente e dei processi in cui siamo immersi. Dall’altro che proprio Milano è già una città in cui questa trasformazione è evidente e dominante (con la sua economia dei servizi in forte sviluppo e accelerazione) e in cui la cultura del progetto dei servizi si va consolidando e radicando in maniera profonda e riconoscibile. Non prodotto vs. servizio ma prodotto+servizio+tecnologia+società. Milano e il suo sistema del design sono questo ed è arrivato il momento di raccontarlo, di costruire un’arena.
Nel momento in cui le città sono una piattaforma di acquisto servizi, che differenza c’è tra cittadino e cliente?
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Più che una piattaforma d’acquisto le città sono certamente il luogo dove la maggior parte dei servizi trova una sua espressione ideale: alcuni di questi possono essere prodotti da soggetti privati o in maniera sussidiaria alla Pubblica Amministrazione (es. l’educazione). Ritengo però che lo stesso potenziale d’innovazione che l’offerta privata genera per la vita degli individui sia a disposizione della Pubblica Amministrazione stessa e dei suoi cittadini. Alcuni approcci ai servizi che li coinvolgano non solo come clienti ma come agenti attivi per il cambiamento della città/società (come quelli che lavorano sui concetti di rappresentanza, partecipazione, co-produzione, collaborazione) possono generare una valorizzazione e una espansione dei “beni comuni” che una città possiede e che qualche volta dovrebbero essere garantiti senza solamente ambire a generare un valore economico.
Non tutti i servizi sono “Buoni” per definizione, ci sono alcuni di questi che non producono valore per la società per esempio. Quali sono le caratteristiche di un buon servizio e qual’è il ruolo del designer?
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La questione è sofisticata e non può essere trasformata in un punto di vista in bianco e nero: diciamo che un buon servizio deve produrre la soddisfazione del cliente-utente ma… guardando complessivamente agli effetti che la produzione di quel servizio genera. Se come utente apprezzo la possibilità di avere food delivery a prezzo bassissimo a qualunque ora del giorno, dall’altro devo riflettere anche sugli effetti complessivi che esso genera come per esempio l’offerta di lavoro non qualificato a bassissimo salario. Ragionare di servizi avendo in mente solo le performance di funzionamento nel momento dell’esperienza tende a distorcere un po’ la realtà o meglio, a farcela vedere in maniera parziale. Per cui un buon servizio, oltre a proporre un’offerta originale e una esperienza performante e distintiva, deve secondo me proporre uno sguardo sistemico che ne attesti una bilanciata accettabilità sociale, economica, ambientale. Questo è il ruolo del designer nella società dei servizi: non accontentarsi di eseguire un’azione progettuale ma essere criticamente vicini all’impatto che essa genera (non solo localmente).
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